lunedì 20 dicembre 2010

CORSO DI FORMAZIONE SULL'IDENTITA' DI GENERE: incontri sui transessualismi




---> SARA’ GARANTITO IL SERVIZIO DI INTERPRETARIATO IN LINGUA ITALIANA DEI SEGNI


Sul transessualismo, che preferiamo declinare al plurale nella forma di transessualismi, ci sono numerose false credenze dovute a una generale disinformazione sull’argomento. Questa disinformazione costituisce terreno fertile per la transfobia e per episodi di violenza, la cui frequenza ha subito un drammatico incremento negli ultimi anni. Per questo motivo stiamo proponendo, nell’ambito della salute mentale, dell’istruzione, del lavoro e della famiglia, un percorso formativo di conoscenza e approfondimento su questa tematica. Lo scopo è fornire gli strumenti adeguati alla promozione del benessere che passa attraverso una corretta informazione, cardine fondante della prevenzione.


Gli incontri saranno accompagnati da materiale didattico e video.
La quota di iscrizione per ogni singolo incontro è di 30 euro, mentre per il ciclo completo la quota è di 100 euro. Nella quota di iscrizione è compresa la tessera associativa al Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli.
Il seminario è rivolto a tutte e tutti coloro che intendono avere una conoscenza maggiore sull'argomento (genitori, studiosi, psicologi, ecc...)

Programma: gli incontri si terranno tutti di venerdì

18/2
1°incontro: Introduzione ai transessualismi: evoluzione del termine, concetto di identità di genere, storia e sviluppo.

25/2
2° incontro: L’iter psico-socio-giuridico: cosa si fa per il riassegnamento chirurgico del sesso in Italia e in Europa.

4/3
3° incontro: La formazione dell'identità: dall'infanzia all'età adulta.

11/3
4°incontro: Genere e sessualità: il piano dell'esperienza.


dove?
Il corso si terrà presso la sala del circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, Via Efeso 3\a Roma.

Il corso è organizzato e tenuto dal Centro di Psicologia Clinica Ri.Va.S.
Via Aldini 3, Roma:
- Dott.ssa Valeria Condino, psicologa, specializzanda in psicologia clinica
- Dott.ssa Valentina Colozza, psicologa
- Dott. Alexandro Fortunato, laurato in psicologia, tirocinante SAIFIP
- Dott.ssa Cristina Giardullo, psicologa, specializzanda ITRI
- Dott. Guido Giovanardi, laureato in psicologia, tirocinante SAIFIP


...in collaborazione con: “Io sono, Io scorro” gruppo di studio sull’identità trans, lesbica e gay in Italia



“E venne il giorno in cui il rischio di rimanere chiuso in un bozzolo divenne più doloroso del rischio di sbocciare” (Anaïs Nin)



Contatti e iscrizioni:
formazioneLGBT@gmail.com
info: 3339034675

http://www.centrorivas.it
http://iosonoioscorro.blogspot.com

varianti di genere

Variante di genere

Questo documento nasce da un percorso assembleare, costituitosi a ridosso del Pride romano del 2010, esploso con l'appello "Noi non ci saremo".
Come gruppo romano "Orgogliosamente LGBTIQ" abbiamo iniziato a costruire il percorso politico verso l'EuroPride, su una tematica che per noi riveste un importante ruolo sociale e politico, cioè la depatologizzazione del transessualismo. Sul questo ci siamo già confrontati con altre realtà a livello nazionale: questo documento vuole essere un contributo per una riflessione più ampia e partecipata, da tenersi in una due giorni nel mese di Gennaio, aperta a tutte le realtà\singoli\gruppi che vogliono fare dell'EuroPride un reale momento di confronto e di crescita collettiva.

Da sempre, l'essere umano ha cercato di classificare qualsiasi forma di vita e non, al fine di rendere riconsocibile l'inconoscibile. La paura rivolta verso il "diverso" si manifesta in tutti gli aspetti della nostra vita, conducendo noi stessi a rappresentarci e a rappresentare tutto ciò che vediamo e che viviamo sotto forma di etichette e/o categorie.
Questo processo di "classificazione" non è solo individuale, ma è supportato e alimentato dalla scienza, la quale riconosce l'esistente solo categorizzandolo. Creando etichette, si agisce una determinata forma di controllo, quella sociale, atta al mantenimento della "normalità".
Conosciamo molto bene l’azione di controllo sui nostri corpi, che passa attraverso la medicalizzazione e l’impedimento fisico e mentale della libertà di scelta e la classificazione degli orientamenti non eterosessuali come patologici.
Le persone lesbiche, gay, trans*, intersex, bi, hanno da sempre subito questo processo, ma nella storia dei movimenti si rilegge richiesto un autentico bisogno di soggettivazione più che di categorizzazione.
Il bisogno di vedere riconosciuta la propria identità passa per la visibilità, per l'essere ciò che si vuole a prescindere da quanto questo si discosti dalla norma vigente.
Noi rivendichiamo questo processo di soggettivazione, e lo vogliamo condividere con l’intenzione ferma e decisa però che sia estraneo alla visione della "minoranza" come soggetto esclusivo di un’oppressione, che ci descrive solo come vittime.
Ognun@ vive sulla propria pelle una personale oppressione, che agisce trasversalmente rispetto a ciò che noi siamo, quindi come donne, migranti, trans*, lesbiche, gay, precari*, etc... Questo non significa però doversi riconoscere solo attraverso la figura di vittima. Per questo sono necessari, ma non bastano i "numeri di aiuto" o delle pubblicità progresso a sconfiggere lo stigma legato all'omosessualità e al transessualismo, bensì quello di cui abbiamo bisogno è un reale cambiamento sociale e culturale.
Il processo di soggettivazione ci porta a definirci in molteplici modi, arrivando ad un acronimo che tutt* conosciamo, "glbt". Vogliamo ripartire dalle parole e dai significati, per questo quell'acronimo non ci basta più, e non ci basta in quella forma. In questo documento, nelle assemblee e nella comunità vorremo che si usasse TLGBIQ perchè pensiamo che in questa fase storica dobbiamo ridare centralità alla questione trans, inserire l'intersessualismo e consolidare una "Q" che ci faccia intravedere il superamento del genere (maschile e femminile) così come dato dalla società eteronormata.
Per questo motivo parliamo anche di transessualismi, perchè non esiste un "solo modo di transitare" e perchè ognung@ dovrebbe essere liber@ di scegliere come farlo e come viverlo.
Inoltre ci preme sottolineare come il termine transessualismo sia errato, poichè sposta una questione di "genere" in un’ottica "sessuale". Per questo preferiamo il termine transgender, o, come stiamo utilizzando ora, la parola trans*, pensando che essa sia maggiormente rappresentativa e inclusiva della realtà del mondo transessuale\transgender, etc..

Il termine identità di genere viene usato per descrivere il senso soggettivo di appartenenza alle categorie maschio\femmina, l'espressione ruolo di genere connota invece l'espressione esteriore, sociale e culturale dell'identità di genere. Quando questi due concetti non sono sovrapponibili, ovvero quando la propria identità di genere non rispecchia il proprio ruolo o viceversa, si viene a delineare un'identità che si pone “fuori” o “fra” le due categorie di genere pre-imposte (Wilchins, 2002).
L'identità di genere è stata troppo spesso confinata alla dicotomia maschio femmina, anche quando la realtà ci dimostra altro.
Non esiste con purezza il maschile e il femminile, bensì quello che realmente rappresenta tutt* è un continuum, dove agli estremi è posto il femminile e il maschile, e dove ognun@ di noi si può collocare in forme e in modi diversi. La sessualità nella cultura, generalmente confusa con l’identità di genere, viene definita in maniera statica, basata su un ordine di genere dicotomico che fonda le proprie radici in un terreno biologico: una dimensione che identifica due generi sessuali, quello femminile e quello maschile, su cui fonda un ordine amoroso immodificabile e sacro, quello dell'eterosessualità.
Non possiamo pensare il transito come un intervento per riporre la propria identità da una parte o dall'altra del binarismo. Quello che la società, che la destra, che le culture reazionarie vogliono è il far rientrare qualsiasi forma di "genere" nel modello dicotomico maschio\femmina.
Noi non vogliamo questo, vogliamo pensare ai transessualismi come forme di identità e di genere variabili, che si pongono come esperienze reali indirizzate al superamento stesso del genere così come lo conosciamo.
Non vogliamo riprodurre la logica della riproposizione forzata di stereotipi di maschio e femmina, uomo e donna. Occorre smantellare questo dispositivo di controllo in tutte le sue ramificazioni psichiatriche, mediche, giuridiche e bioetiche.
Le lotte per l’autodeterminazione dei soggetti che si trovano in posizione di ineguaglianza nell’organizzazione sociale ed economica dei due sessi, quello maschile e quello femminile, testimoniano che il percorso che tende a scardinare questo sistema di oppressione attraverso la liberazione dei soggetti oppressi è lunga ma, fortunatamente, inesorabile.
La campagna che stiamo sostenendo per la depatologizzazione del transessualismo è solo l’inizio di un percorso di cambiamento nella percezione sociale delle persone trans*. Il suo successo non metterà fine all’esclusione sociale ma sarà un primo atto perché tale esclusione cessi di esistere e affinché, attraverso la depatologizzazione, lo Stato e le istituzioni mediche e sanitarie, riconoscano l’autonomia delle persone trans*, nella costruzione del proprio sé non come patologia ma come libertà di transitare la propria esperienza umana in accordo col proprio sentire, pensare e agire.

Pur nelle specificità dei diversi percorsi esistenziali ed antropologici di donne, lesbiche e persone trans*, appare evidente che siamo di fronte comuni forme di oppressione e violenza riconducibili ad una comune matrice, e cioè la strutturazione etero-patriarcale e sessista della società.
Per questo la lotta di liberazione delle donne, il movimento di liberazione gay, il riconoscimento dell’esistenza delle lesbiche e ora la campagna per la depatologizzazione del transessualismo sono lotte, che nel rispetto delle specifiche differenze, hanno una comune origine nel sistema del dominio maschile e del controllo dei corpi.
E' qui che bisognerebbe ad esempio agire una lotta per sconfiggere le discriminazioni a cui sono soggette le persone che praticano BDSM, feticismo e travestitismo, attività che spesso sono male interpretate dalle società moderne, come si può vedere anche dalle leggi presenti in stati come USA o Regno Unito. Tali pratiche sono spesso accostate erroneamente alle violenze sessuali causando evidenti danni di immagine ed isolamento e rendendo difficile la libera espressione della propria sessualità. Oggi sappiamo che all'interno dei movimenti lgbt le realtà fetish/bdsm hanno dato un grande supporto nelle lotte per i diritti grazie alla loro visibilità e mettendo in luce nuove diversità.
Lo spostamento avvenuto da parte di alcune realtà del panorama lgbt durante il Romapride del 2010 ha, a nostro avviso, permesso un'apertura verso la riscoperta delle diversità e in sintonia con questo percorso vogliamo sostenere i temi che interessano la comunità lgbt, chiedendo che non vengano trascurati, per combattere il pregiudizio che con sorpresa emerge anche all'interno degli stessi ambienti gay. Pensiamo che i temi della comunità fetish o bdsm costituiscano una base di rispetto e di arricchimento per tutti e tutte.

Con questo documento vogliamo sostenere la richiesta di eliminazione delle diagnosi di Feticismo, Travestitismo e Sadomasochismo dalla versione corrente dell'ICD (ICD-10) (International Classification of Diseases) pubblicata dall'Organizzazione Mondiale della Salute (WHO), poichè crediamo che questi temi non siano solo qualcosa di marginale, legati a una nicchia di poche persone, ma rappresentano una spinta ulteriore verso la sperimentazione di nuovi modelli di sessualità, affettività, vita sociale e realtà associative, elementi che possono costituire un patrimonio per tutti e tutte coloro che fanno parte della comunità lgbt così come per gli eterosessuali che non vogliano sottostare a degli schemi tradizionali.


Il DSM (Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali) edito per la prima volta dall'APA (America Psichiatric Association) nel 1950 (DSM I) rappresenta lo strumento che la psichiatria, in particolare quella americana, utilizza per stabilire un confine tra normale e patologico, tra sanità e malattia. Uno strumento che, pur non avendo il carattere di unicità (esistono infatti altri manuali diagnostici, come l'ICD 10, il PDM, etc..) nel suo campo ha comunque un'influenza notevole nel panorama scientifico. Oggi, nel 2010, siamo giunti alla quarta edizione rivista (DSM IV-TR) ed è già in preparazione la quinta edizione, all'interno della quale il "transessualismo" cambia nuovamente forma e significato.
Ciò che ci pare interessante sottolineare sono due aspetti. Il primo riguarda il superamento (ancora ipotetico, da parte del DSM V) della sovrapposizione del concetto di genere a quello di sessualità, confusione che aveva causato la patologizzazione di determinati comportamenti considerandoli come veri e propri disturbi mentali.
Molti clinici che lavorano regolarmente con questo tipo di persone sono arrivati a pensare a questo fenomeno non come una patologia ma come una variazione naturale alla concezione binaria maschio/femmina del genere.
Il secondo è che per la prima volta viene introdotto il concetto di non dualità dei generi. Si parla infatti, all'interno dei criteri diagnostici, di "altri generi", dichiarando implicitamente l'esistenza di identificazioni di genere "miste" o "altre" incluse nell'incongruenza di genere e non più considerate patologie psichiatriche.
Nonostante questi aspetti rappresentino un passo avanti, siamo fermamente convint* che per agire una lotta contro la discriminazione delle persone trans* , qualsiasi diagnosi psichiatrica debba scomparire da tutti i manuali diagnostici esistenti, supportata da una campagna concreta di sensibilizzazione, rivolta sia verso i clinici sia verso l'intera popolazione.
Condividiamo e sosteniamo la campagna europea “-stop 2012-” per la depatologizzazione e l’eliminazione del transessualismo dal DSM (e da tutti i manuali diagnostici) che etichetta e stigmatizza le persone trans* come malate mentali, condizionandone l'accesso agli interventi necessari per la riattribuzione chirurgica del sesso ed impendendone di fatto l'autodeterminazione e la libertà di espressione.
Questo percorso si inscrive nell’ambito di tutte le lotte culturali e politiche che mirano a decostruire il sistema di norme che, in nome di una presunta oggettività scientifica e psichiatrica, viene imposto generando sofferenza, inclusione ed esclusione nelle misura in cui tale ordine normativo viene accettato.
Siamo di fronte ad una sfida molto importante per l'intera comunità tlgbiq: ridare centralità al soggetto trans*, pensare al binarismo di genere come uno stereotipo da distruggere al fine di affermare una reale variabilità di genere, ponendoci in prima persona come soggetti attivi della politica.
In un momento di crisi economica e culturale così manifesta rivendichiamo servizi sanitari pubblici accessibili e gratuiti, apertura di spazi di discussione relativi al tema della famiglia -non solo quella eterosessuale bianca e cattolica-, sulle discriminazioni sul lavoro, sulla politica securitaria e del sul concetto di migrazione.
Questi e altri temi vorremmo che siano nell’agenda politica di chi, come noi, vuole creare un terreno fertile di costruzione condivisa verso il Roma Euro Pride. Per questo siete tutt* invitati alla due giorni di analisi e approfondimento su questi e altri temi, che si terrà a Roma il 15 e 16 Gennaio 2011.

Siamo fermamente convint* che questa battaglia coinvolga tutt*, anche la popolazione lgbtiq sorda, che quasi sempre per ostacoli sormontabili è stata tagliata fuori.
Per questo proponiamo che alle prossime assemblee di movimento ci sia la figura dell'interprete per garantirne la partecipazione.

In conclusione proponiamo, perchè pensiamo che sia necessario, un intervento legislativo al fine di ampliare e meglio garantire i diritti delle persone trans*; nello specifico: il diritto all'identità di genere nel rispetto del diritto all'autodeterminazione dell'individuo.

In sintesi, al legislatore si richiede:
a) Una legge che permetta la rettificazione anagrafica del sesso e del nome - in accordo con il genere e il nome scelto - sulla base di una dichiarazione giurata della persona trans* interessata senza dover ricorrere necessariamente e preventivamente ad interventi medico chirurgici demolitivi-ricostruttivi sugli organi sessuali primari e/o secondari; che non obblighi la persona trans* ad un monitoraggio medico e giudiziario, né alla presentazione di una certificazione o perizia di diagnosi di disturbo di identità di genere come condizione di procedibilità e accoglimento della domanda che deve poter essere proposta in carta libera e senza l'assistenza di un legale;
b) Una legge che garantisca nel programma di assistenza del Servizio Sanitario Nazionale i trattamenti ormonali, le operazioni di riassegnazione genitale e/o di collocazione di protesi e tutti gli altri interventi medici che le persone trans* possono eventualmente richiedere per la costruzione della loro identità senza che sia necessaria una diagnosi di disturbo di identità di genere.

IL gruppo romano “ORGOGLIOSAMENTE”

mercoledì 23 giugno 2010

Abstract

ABSTRACT DELLA TESI:
“Formazione dell'identità lesbica e gay:
il processo di coming out come fattore di sviluppo”

Di Valentina Colozza
Da quando l'essere umano si è dotato del potere della scienza ha sempre dato un nome alle cose, suddividendole e ponendole in rapporto gerarchico fra loro. Si sono sempre etichettate forme e vite al fine di non cadere nell'ambiguità o nel non conosciuto, si è sempre preferito dare due nomi ad una cosa che non darlo affatto, nella logica che se non si vede non esiste. La dimensione biologica (apprato genitale), il genere sessuale (maschile e femminile) e l'identità di genere (ruolo di uomo o di donna) hanno vissuto sin dall'antichità un rapporto consequenziale che ha portato alla loro sovrapposizione. Una consequenzialità che viene narrata in modo temporale-razionale (la bambina crescerà e diventerà una donna) ma che nei fatti diviene logica-irrazionale attribuendo all'individuo, ancor prima della nascita, genere, identità e ruolo. Il genere è appreso in tempi così remoti ed in modo così diffuso che diviene quasi innato, rendendo i soggetti difficilmente consapevoli delle possibilità di altri valori e forme di comportamento.
Nell'impossibilità di essere altro dall'uomo e dalla donna, si sono sempre condannati e maledetti quei nascituri ambigui ermafroditi e intersessuali. La sessualità nella cultura viene definita in maniera statica, basata su un ordine di genere dicotomico che fonda le proprie radici in un terreno biologico: una dimensione che identifica due generi sessuali, quello femminile e quello maschile, su cui fonda un ordine amoroso immodificabile e sacro, quello dell'eterosessualità.
E' da questa premessa che nasce l'introduzione al lavoro, di tipo culturale e sociale, che cerca di fare chiarezza sulle definizioni di genere e identità, concetti che nel tempo sono stati resi ambigui e spettacolarizzati, come nel transessualismo.
Ponendo un accento sulla modificazione culturale di inizio secolo, dovuta in parte anche alla nascita della psichiatria, abbiamo osservato come la rappresentazione dell'omosessuale si sia modificata. Dal riconoscimento del pederasta per il suo carattere somatoforme, all'individuazione di quei caratteri psichici che hanno fatto delle persone lesbiche, gay o transessuali dei corpi da
medicalizzare. La psichiatria, il ritorno delle teorie darwiniane, la morale cattolica hanno spinto sempre più sulla ricerca delle cause dell'omosessualità etichettandola prima come perversione, poi come malattia curabile. L'escursus storico e l'attuale situazione sociale che vivono lesbiche e gay in Italia ci permette di concludere il primo capitolo con le teorie di sviluppo riguardanti l'omosessualità e l'importanza del coming out, lasciando spazio alla dimensione intrapsichica e interpersonale del fenomeno.
Molta importanza sarà data al coming out, che non sarà visto solo come il “momento di uscita allo scoperto”, ma come quel lungo e difficoltoso processo proprio di ogni adolescente, o adulto che sia, che mette in discussione la propria sessualità. All'interno del coming out, e quindi di un particolare momento di vita analizziamo i mutamenti e gli attacchi che subisce il sé, le sue rappresentazioni, l'autostima e la qualità di vita.
Delineando così i momenti più critici e importanti dello sviluppo intrapsichico di una persona lesbica gay o transessuale, possiamo approfondire la dimensione relazionale.
Nel terzo capitolo, infatti, grazie a una rilettura della teoria dell'attaccamento e della teoria dei sistemi si esamineranno pattern e stili familiari durante la scoperta dell'omosessualità del figlio\a, il segreto transgenerazionale, infine l'omeostasi e\o il cambiamento della struttura familiare. Seppur in maniera breve affrontiamo il tema dell'omogenitorialità, per mezzo di una chiave di lettura psicodinamica e psicoanalitica.
Infine nell'ultimo capitolo, riguardante l'area sociale, tratteremo il fenomeno dell'omofobia, sociale ed interiorizzata, con relative ricerche a livello internazionale.
L' ostilità, il rifiuto e la violenza, che spesso riscontriamo nell’ambiente sociale, si riflettono sull’individuo a livello intrapsichico, dove è presente un continuo conflitto dato, ad esempio, dalla non concordanza fra il desiderio omosessuale e le norme sociali interiorizzate, i bisogni istintivi e la realtà esterna eterosessuale-
Si ipotizza, nel processo di coming out, una riattivazione di un conflitto interno tra vero Sé e falso Sé (Winnicott, 1974) che attiva specifiche strategie difensive, meccanismi di coping e altri fattori protettivi. Per questo il nostro focus si sposterà sull’organizzazione difensiva delle persone lesbiche e gay, ipotizzandola come meccanismo inconscio della manifestazione dell'omofobia interiorizzata e sociale.
Possiamo affermare che l'utilizzo di difese immature sia correlato significativamente con comportamenti di evitamento omofobo e comportamenti aggressivi omofobici, come confermato anche dai dati di una ricerca di Lewis A. J. e White J. (2009).
Inoltre sottolineiamo come gli eventi di violenza e di discriminazione vissuta o percepita, le esperienze di pregiudizio, rigetto, stigma percepito e omofobia interiorizzata sono dimensioni riconducibili a fattori di stress, che in maniera quasi cronica si ripercuotono sulle minoranze, connotandosi come eventi traumatici, riferiti in generale al modello che abbiamo preso in riferimento del minority stress.

appunti di psicoanalisi. L'illusione e il desiderio dell'accettazione

"L'idealizzazione del gruppo viene pagata con il rischio di violenza verso quelli che sono esterni al gruppo. L'arte è la sublimazione più appagante; ma solo alcuni vi possono accedere. Rimane la religione , che fino a questo punto è stato l'appoggio più sicuro della cultura. La forza delle idee religiose è notevole, perchè esse hanno il loro ancoraggio affettivo nell'esperienza infantile: l'idealizzazione del padre, al quale l'adulto non ha voluto rinunciare. le idee religiose sono un tesoro di idee spirituali che aiutano ad accettare la rinuncia pulsionale perchè consolano l'individuo, garantendogli una protezione e speigandogli gli enigmi dell'universo.

Le idee religiose sono di conseguenza delle illusioni: ciò non siginfica, necessariamente, che siano false o impossibili, anche se nessun argomento razionale le giustifica, ma che esse obbediscono ad una logica del desiderio.
La fede non si appoggia su una volontà di verità, ma sul desiderio che sia così. se i riti religiosi avvicinano il fenomeno religioso alla nevrosi ossessiva, la rivelanzione religiosa è da considerare all'interno delle analogie con i processi deliranti. E' la credenza comune che distingue la prima dagli altri."

Così il desiderio che non rientra nella morale cattolica è amorale, e l'illusione di vivere una porpria realtà, diversa da quella comunemente accettata diviene frustrazione. L'accettazione è conseguente la conformità, delle proprie idee, dei propri pensieri, del proprio corpo, della propria sessualità, sfera intima della propria personalità. Nasce così la proibizione diretta e indiretta di pensare, come azione antagonista alla cultura dominante. Vivere e provare sensazioni ed esperienze fuori da questa logica "normale" ci fa abbandonare quella "sicurezza psichica ottenuta grazie alla fede"

La frustrazione, la non accettazione, il desiderio pensante è la conseguenza diretta dello scambio fra la sicurezza della norma e la possibilità di una felicità vera.
Per questo "la genesi del senso di colpa nell'individuo può essere messa in rapporto con la genesi di colpa collettiva.
L'aggressione è introiettata, interiorizata, capovolta verso l'Io da cui è stata originata. questa aggressività dell'Io contro se stesso si chiama sentimento di colpa e si manifesta sotto la forma di un bisogno di punzione."

"l'idealizzazione del gruppo viene pagata con il rischio di violenza verso quelli che sono esterni al gruppo. Essendo negata l'ambivalenza, l'idealizzazione maschera l'odio e la proietta sul nemico o su quelli che non condividono l'ideale dell'Io del gruppo. L'intolleranza è così la conseguenza quasi necessaria della modalità stessa di costituzione dell'identificazione narcisistica gruppale."

I pezzi virgolettati sono presi da:Cento anni di psicoanalisi, D. Bourdin, p 130-136

sabato 30 gennaio 2010

iniziamo

..Ciao a tutte e tutti..
provo a mettere su questo blog per condividere un pò di riflessioni che partono tanti anni fa e che si sono fatte un pò più concrete con la mia tesi..
così..inizio con l'introduzione..se non con che altro?
e allora..
-.-.-.-.-.-.-

Da quando l'essere umano si è dotato del potere della scienza ha sempre dato un nome alle cose, suddividendole e ponendole in rapporto gerarchico fra loro. Sostenuti dalla spinta darwiniana il ciclo di vita di animali, piante ed esseri umani è stato sempre disegnato in un cerchio, ove il più grande ha il sopravvento sul più piccolo, e dove anche il più piccolo ha un ruolo e una funzione all'interno del sistema. Si sono sempre etichettate forme e vite al fine di non cadere nell'ambiguità o nel non conosciuto, si è sempre preferito dare due nomi ad una cosa che non darlo affatto, nella logica che se non si vede non esiste.
Wilhelm Fliess esprime quest'essere della conoscenza con alcuni versi nel saggio “Maschile e femminile” Ecco da cosa si riconoscono gli uomini istruiti: Ciò che non possono toccare resta lontano mille leghe; Ciò che non possono afferrare semplicemente non esiste! Ciò che non calcolano non è vero; Ciò che non pesa non ha alcun peso; Ciò che non è denaro, pensate, non vale niente (1980, p. 24).

La certezza immutabile e solida da quando esistiamo è che l'essere umano si esprime attraverso due forme opposte, antitetiche, contrarie e complementari, ovvero l'uomo e la donna. Questi due esseri sono legati da una forma di dipendenza e d'amore indissolubile: la colpa della conoscenza del bene e del male del peccato originale, pagata con la sottomissione della donna all'uomo e a Dio e al relegamento al suo doppio mandato di donna e di madre.

Così la stirpe umana porta con sé i tre elementi della vita dati all'uomo e alla donna: la colpa per la voglia di conoscenza del bene e del male, la sottomissione della donna all'uomo e a Dio, il compito di essere i progenitori dell'umanità.
Nella storia, nelle ere e nei vissuti è sempre tutto ruotato intorno all'esistenza dell'essere umano che si è evoluto nella storia da homo herectus al prototipo dell'intelligenza artificiale, dalla capanna al grande grattacielo di cento piani che pesa tonnellate di cemento.
Ci si è evoluti, nel bene e nel male, sacrificando le terre e i piccoli animali nei laboratori. Non si è mai però messo in discussione il genere umano, la certezza sulla quale tutti i giorni, da millenni, viviamo. Vi è sempre stata un'attribuzione consequenziale che dal sesso biologico ha portato al genere permettendo di stabilire ruolo e identità. Questa assegnazione però non è mai stata rappresentata con un nesso logico ma data culturalmente e agisce sull'immediato per mezzo della società, della cultura e della famiglia. La nascita permette questa attribuzione e il battesimo solleva dall'ambiguità.
Non possiamo affermare che esistano in senso “puro” l'uomo e la donna1, poiché essi in realtà sono degli individui che differiscono biologicamente per caratteri sessuali primari e secondari che appartengono in misura variabile più al genere maschile o femminile. Il genere quindi sancisce la declinazione culturale della dimensione biologica del sesso. Le diversità sessuali si articolano, in ogni società, in comportamenti che sono ritenuti appropriati ai due sessi, che vengono condivisi come maschili o femminili dal gruppo sociale di riferimento. Il genere è appreso in tempi così remoti ed in modo così diffuso che diviene quasi innato, rendendo i soggetti difficilmente consapevoli delle possibilità di altri valori e forme di comportamento.

Nell'impossibilità di essere altro dall'uomo e dalla donna si sono sempre condannati e maledetti quei nascituri ambigui ermafroditi e intersessuali.
Si determina così quella dicotomia di genere che ogni giorno agisce a livello inconscio rendendo l'uomo e la donna due assunti innati.
Affermiamo una differenza di genere fra gli individui, ma dobbiamo ammettere la forte influenza determinata dalla società e dalla cultura che dà alla donna e all'uomo specifici ruoli e funzioni.
Il neonato si trova in una condizione sessuale indifferenziata, vale a dire che sono presenti i caratteri sessuali primari ma le esperienze pulsionali (precedenti l'Edipo) non sono di carattere interpersonale (Winnicott, 1986). Tali esperienze che non si costruiscono quindi come relazioni intersoggettive sono elaborazioni immaginative di esperienze fisiologiche (ibidem p.41). Il bambino inizia a provare piacere sessuale attraverso vari organi, è interessato solo alle sensazioni provate (che rimangono isolate, parziali) e fa questo senza scopi riproduttivi, divenendo così un essere perverso polimorfo2 (Freud, 1905).

L'orientamento libidico verso un oggetto arriva con la fase genitale che organizza le pulsioni, preparando in qualche modo il terreno per il complesso di Edipo3. La differenza sessuale non interviene immediatamente nello sviluppo, dando così luogo ad una sorta di stato psichico bisessuale (Ferenczi, 1966).
L'età, il modo e il tipo di oggetto d'amore scelto dipenderà dal modello culturale in cui la famiglia vive. Si pensi, ad esempio, ai matrimoni combinati, dove il desiderio e il piacere sono completamente offuscati da interessi economici e di discendenza; o ancora alle proibizioni cattoliche che pretendono la verginità fino al matrimonio.
Lo sviluppo dell'identità, in senso eterosessuale, è determinato così da una risposta funzionale alle esigenze sociali e culturali saldate sul senso della riproduzione.

Non possiamo rispondere con esattezza come si determini l'orientamento omosessuale, ma di certo affermiamo che esso non è predeterminato biologicamente, né rappresenta una deviazione o perversione sessuale.
Etero o omosessuali non ci si nasce, ma lo si diventa nel lungo percorso della vita, per mezzo del proprio carattere, della propria identità, dell'ambiente in cui si vive, etc... allo stesso modo nessun orientamento sessuale rappresenta una scelta, poiché con un identità formata e coesa l'oggetto d'amore sarà solamente uno. D'altronde l'amore incondizionato in questa società, fondata sul patriarcato, sul sessismo e sul sistema dicotomico di genere, non è permesso, se non destinato alla procreazione e a quella che per molti è la normalità.

Questo lavoro intende indagare lo sviluppo intrapsichico e interpersonale di un individuo (spesso adolescente) durante il processo di scoperta e integrazione (coming out) della propria identità omosessuale.
La ricerca scientifica, soprattutto in Italia, è molto limitata, per questo faremo riferimento per lo più a ricerche di ambito internazionale, auspicando ad un reale e concreto interesse rispetto l'argomento. Cercheremo di fare attenzione ai termini e agli aggettivi, dal momento che nella letteratura scientifica si riscontrano confusioni sull'utilizzo del termine omosessuale.
Spesso infatti si utilizza questa espressione con la stessa universalità con il quale si usa il termine uomo. Risulta che solo una piccola minoranza delle ricerche analizzate utilizza specificatamente la parola lesbica, mentre per la maggior parte di esse la parola omosessuale viene intesa come “categoria unica”. Per questo nelle prossime pagine anteporremmo la donna all'uomo, così come la lesbica al gay.

martedì 26 gennaio 2010

«Nel nostro mestiere la finalità è quella di affrontare,
- trovare la maniera di affrontare- la contraddizione che noi siamo:
oppressori ed oppressi, e che dinanzi a noi abbiamo una persona che si vorrebbe opprimere. Bisogna fare in modo che questo non avvenga.

L'uomo ha sempre questo impulso, di dominare l'altro; è naturale che sia così.
E' innaturale quando si istituzionalizza questo fenomeno oppressivo.
Quando c'è un'organizzazione che, approfittando dei problemi contraddittori, crea un circuito di controllo per distruggere la contraddizione,
assolutizzando i due poli della contraddizione ora in un modo ora nell'altro.

Noi rifiutiamo questo discorso. Noi diciamo di affrontare la vita, perché la vita contiene salute e malattia, e affrontando la vita noi pensiamo di fare la prevenzione.
Pensiamo di fare il nostro mestiere: di infermieri, di sanitari, di medici.»

(Franco Basaglia, in Lezione/conversazione con gli infermieri nel congedo da Trieste, 1979)